GIUGNO 2013 N.32

STUDIARE IN EUROPA di Silvia Vesco ’86

In MONDO on 3 aprile 2011 at 02:25

Sono partita ormai più di una anno fa. Il tutto è nato in maniera un po’ inaspettata, in pochi mesi, nei quali si è presentata la possibilità di usufruire di una borsa Erasmus per l’Olanda. La meta non era in cima alle mie preferite, ma l’università offriva programmi di ricerca e studio che avrebbero potuto essermi utili per la tesi. Decisiva è stata la voglia di fare questa esperienza che in fondo ho sempre avuto. L’idea di partire, vedere posti nuovi, ma anche la possibilità di vivere per un periodo in un paese diverso dal mio, con la voglia di mettermi alla prova e vedere come và. E così a Febbraio 2010 è iniziata la vita olandese, in una nuova casa, con nuove conoscenze e in poche settimane mi sentivo acclimatata, avendo  già acquisto piena padronanza della mia bicicletta e dei quaranta minuti di pedalata del tragitto casa – università. Le prime settimane sono sempre le più complicate, ci sono molte cose a cui pensare, dai problemi pratici che riguardano la casa, a quelli burocratici, al dovere girare sempre con la cartina alla mano, perché non si conoscono le strade e si rischia di perdersi di continuo. Ma lentamente si ricrea una nuova quotidianità e si sperimenta la vita da studente in un paese diverso dal tuo, che ogni girono ti porta a contatto con nuovi punti di vista, nuove situazioni che non possono non mettere in discussione come sei fatto e come viviamo nel nostro paese. La scelta della destinazione può avere una grande influenza su questo tipo di esperienza. La possibilità di un confronto mi è stata data nei mesi in cui ero via, grazie ad alcuni amici che hanno reso possibile uno “scambio nello scambio”. Mentre ero via, infatti, ho potuto fare visita a due amici, a loro volta partiti con il progetto Erasmus, uno in Spagna e l’altro in Belgio. Il confronto è stato interessante e mi ha dato modo di realizzare quanto possono essere diverse le vite e le esperienze di studenti di altri paesi, in fondo, non così lontani dall’Italia. Per quel che riguarda l’Olanda, lo scambio era attivato con l’università di Utrecht. Una città con circa 300.000 abitanti, per lo più studenti, che racchiude tutte le caratteristiche della città olandese. La sensazione che si ha camminando per le sue strade è quella dell’ordine e della tranquillità, un po’ per l’acqua da cui è continuamente attraversata sottoforma di numerosi canali, un po’ per la natura, i numerosi parchi disseminati per la città e la mancanza di traffico. L’idea di ordine ed efficienza non è solo un mito che viene associato ai paesi del Nord. Vi è un’ idea del rispetto delle regole e di pianificazione che è molto sentito dalla popolazione e che si riflette anche sugli aspetti più impensati. Qui anche la “trasgressione” ha delle regole ben precise, basti pensare all’uso delle droghe leggere che sono sì legalizzate, ma possono essere consumate solo nei coffe shop e chi trasgredisce non è certo la gente del posto, ma più probabilmente il turista di turno. Le differenze culturali sono tante e fin dai primi incontri introduttivi è stato spiegato al gruppo degli studenti internazionali quali potevano essere i possibili “cultural shock”. Innanzitutto il rapporto con i Dutch, gli olandesi, persone disponibilissime a dare informazioni ed ad aiutarti se sei un turista in difficoltà, ma allo stesso tempo  molto dirette, rischiando a volte di sembrare un po’ brusche. E’ stato difficile infatti riuscire ad instaurare dei contatti con gente del posto, una delle sfide più ardue per uno studente in scambio. Questo pur essendo un po’ difficile per tutti, lo è ancora di più se si ha che fare con gli olandesi, per la maggior parte riservati e molto indipendenti. Solo dopo sei mesi sono stata invitata a casa di un compagno di corso, e quando scherzando gliel’ho fatto notare, mi ha raccontato di come abitasse fuori casa da quando aveva diciotto anni, di come fosse abituato a fare tutto da solo e di come si è soliti invitare a casa le persone con le quali si ha confidenza (cosa che richiede sicuramente tempo); le improvvisate non sono comunque ben viste, lui stesso, mi dice, fa visita ai genitori solo s’é invitato. Parlando con molti italiani che hanno deciso di trasferirsi lì per lavoro o per studio questo è uno degli aspetti che più mette in difficoltà, noi abbiamo bisogno di parlare e di uscire, senza pensare troppo al tempo da cui ci conosciamo. Chi ha scelto di trasferirsi qui in pianta stabile, l’ha comunque fatto principalmente per l’università e per le numerose opportunità di lavoro, anche nell’ambito della ricerca, che vengono offerte. Il modo olandese di concepire l’università e lo studio è molto lontano dalla visione italiana. Se in Italia l’università è caratterizzata da un ambiente gerarchico formale, che si concentra innanzitutto sul fornire una ricca preparazione teorica per i propri studenti, l’Olanda mette al centro dell’università il risvolto pratico dello studio, cercando di stimolare lo studente a partecipare in modo attivo e dandogli spazio per sviluppare quelli che sono i propri interessi. I programmi di studio e le verifiche infatti prevedono una parte teorica, uno studio dei classici, ma è solo un terzo dell’attività del corso. Le lezioni sono ricche di momenti di ricerca, di discussione, di approfondimenti, di presentazioni con l’intenzione di sviluppare non solo un bagaglio di nozioni teoriche, ma anche le capacità degli studenti di riflettere, di riuscire a fare valere le proprie opinioni. I classici vengono presi in considerazione, ma per lo più si studia su testi recenti, su articoli scientifici prodotti da università di tutto il mondo, secondo una tendenza che porta lo studente a guardare più al presente che al passato. Tendenza che condivido solo in parte, e sulla quale si potrebbero aprire interessanti dibattiti. È stato comunque molto interessante vedere come il risvolto pratico, non appartiene solo alle discipline scientifiche, ma può essere applicato anche alle discipline umanistiche. Per la prima volta ho potuto approfondire temi di natura antropologica e sociologia, non sui manuali, ma a partire dall’analisi dei giornali e dei fatti quotidiani. Lo stesso spazio universitario è stato pensato a misura di studente e delle sue esigenze. All’interno delle strutture dell’università, aperte fino alle dieci di sera, è possibile trovare di tutto, dai numerosi “spazi relax” arredati con divani e televisori, alle aule computer dove c’è sempre un pc disponibile per le proprie ricerche, fino ad arrivare a delle mini sale riunioni, prenotabili dagli studenti per i diversi lavori di gruppo. Gli studenti passano nel “campus” la maggior parte del loro tempo dove studiano, mangiano, dormono, ma possono anche incontrarsi, per pranzare a ristorante o fare un salto negli impianti sportivi dell’università. Quello che si tende a fare è fornire allo studente tutti gli strumenti necessari  per sviluppare i propri interessi e potersi costruire percorsi di studio in maniera autonoma e secondo le proprie inclinazioni. Un atmosfera del tutto diversa, invece, si respira in un paese come la Spagna ed in particolare in una grande città come Barcellona. Le persone, il clima, ricordano certo di più l’atmosfera di casa. Questo anche per il grande numero di italiani. La Spagna rimane una delle mete preferite degli studenti italiani, che sono una gran parte del gruppo di studenti internazionali. Per gli studenti che decidono di studiare in una città come Barcellona è possibile oltre che conoscere la Spagna, o meglio la Catalogna, vivere l’esperienza della metropoli, con la sua frenesia e le diverse realtà. La città di per sé offre numerose attrattive e in poche fermate di métro è possibile visitare alcuni musei e luoghi d’arte tra i più famosi della Spagna: Museu Picasso, Parc de la Ciutedella, Casa Batllo. Luoghi che per me hanno sempre un certo fascino e che in alcuni giorni della settimana sono accessibili in modo del tutto gratuito. Si, perché un altro elemento da tenere in conto è sicuramente il costo della vita, e la Spagna, a confronto con i paesi del Nord Europa, rimane una delle più accessibili. Per uno studente, questo è un aspetto importante e se ad Utrecht in serata ci si ritrovava negli studentati o nelle birrerie belghe, qui ci sono soluzioni economiche che permettono di mangiare fuori e di godere della cucina spagnola, che per gusti personali, non ha paragoni con quella olandese. L’Olanda infatti da una parte non ha veri e propri piatti tipici, dall’altra ha un interesse per le cucine alternative come la cucina vegetariana o vegana (cucina nella quale si vieta l’utilizzo di tutti i prodotti di provenienza animale, e che quindi non si limita ad escludere solo la carne, ma non ammette nemmeno tutti i derivati animali come i latticini o le uova). Parlando con gli studenti dell’università in scambio a Barcellona, ancora una volta emergono le differenze con il sistema universitario italiano. Sebbene le lezioni siano spesso, come in Italia, lezioni frontali, il rapporto con i professori è meno formale e anche qui non mancano momenti di dibattito e di confronto. Una realtà ancora diversa è quella degli studenti in scambio in Belgio, ed in particolare nel mio caso nella città di Louvain-la-Neuve. Louvain-la-Neuve è una piccola città che appartiene alla parte del Belgio francofona. La città nasce dalle tensioni tra la popolazione fiamminga e quella francofona che porta quest’ultima a costruire intorno agli anni ’60 una vera e propria città per gli studenti universitari francofoni iscritti all’Università Cattolica di Louven. Appena scesa dal treno l’impressione è che la città sia abitata soltanto da studenti, girando per le strade non si incontrano né anziani, né famiglie o bambini, né adulti al di sopra dei trent’anni. Parlando con i ragazzi che studiano lì, mi veniva spiegato come tutte le case del centro fossero studentati e case per studenti. Gran parte del terreno sul quale la città è stata costruita appartiene all’università e solo negli ultimi trent’anni la città ha iniziato ad essere abitata stabilmente da gruppi di famiglie, le quali però abitano nella zona collinare, separata dal centro. L’università ha avuto un importante ruolo anche nel momento della pianificazione della città, la quale è stata pensata per essere principalmente pedonale e permettere agli studenti di spostarsi facilmente a piedi o in bicicletta. Oltre ai semplici studentati è possibile trovare quelli che vengono chiamati “kot a project”. Queste sono case all’interno delle quali vivono dai sei ai dodici studenti che si fanno promotori di un particolare progetto; ci sono kot sul giornalismo, sul teatro, sui diritti umani. Quello che ho potuto visitare è stato il kot di Amnesty International. Fare parte del kot significa fare vita di comunità e organizzare numerose attività, dibattiti, spettacoli, cene sociali, che hanno sempre lo scopo di porre l’attenzione su le tematiche che promuovono. I ragazzi che coabitano nella casa sono una vera e propria squadra, dove ognuno ha i suoi compiti e dà il suo contributo Questa si rivela essere un’ottima soluzione anche per entrare direttamente in contatto con i giovani belgi, perché in ogni casa c’è solo un posto per uno studente straniero e si evita la “ghettizzazione” del gruppo di studenti internazionali’. Gli studenti sono continuamente impegnati, tanto nello sviluppo dei vari progetti che nell’organizzazione del divertimento. All’interno del centro non ci sono veri e propri locali, ma quelle che vengono chiamate cercles , ovvero locali gestiti dalle stesse associazioni studentesche, dove è possibile bere una birra per 80 cent e ascoltare musica. In alcuni periodi dell’anno poi la città si riempie di studenti da tutto il Belgio, le varie organizzazioni studentesche preparano grandi festival, con musica e spettacoli che riempiono le strade per qualche giorno. Come tutti i viaggi una parte importante rimane sempre il ritorno, ritrovando la famiglia e gli amici. Appena tornata ti rendi conto  della situazione fuori dall’ordinario che hai vissuto, la possibilità di viaggiare e conoscere posti e persone, non appartiene alla vita di tutti i giorni. E forse è giusto così. Ma se si ha la possibilità di partire consiglio tutti di prenderla al volo, perché il vivere da solo, il confrontarsi con persone e culture diverse, è un importante momento di crescita per imparare non solo qualche cosa su gli altri, ma anche su come siamo e su quello che si è capaci di fare. L’entusiasmo di conoscere, di vedere, di capire, a me è rimasto anche una volta tornata a casa. E anche Bologna, mi è subito sembrata diversa, più bella di come l’avevo lasciata.

  1. E’ proprio vero quando si è via, lontano, molto lontano dal “quotidiano” si vedono le cose in una nuova luce, si impara a conoscere veramente se stessi e quando si torna si vive con maggiore consapevolezza la propria realtà “normale” e si impara ad apprezzarla e allo stesso tempo a notare le criticità non “all’italiana” (ovvero quell’approccio polemico nei confronti di tutto e tutti) ma con occhio di chi ha sperimentato e vissuto proposte differenti ad uno stesso problema e desidera migliorare veramente la propria semplice realtà

  2. Bellissimo articolo complimenti. Ho inviato da poco i documenti per l’iscrizione alla specialistica in Design a Delft.
    Sarebbe fantastico! Se hai delle dritte su come trovare alloggi, tipo kijiji in italia fammi sapere grazie!

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